Intervista alla maestra Angela Furferi
Lo studente Matteo Mauceri intervista la maestra Angela Furferi.
La maestra Angela Furferi è nata il 18 gennaio 1951 a Brancaleone (RC). Ha consegnato il diploma magistrale nel 1970 ed è entrata in ruolo nell’anno 1982. In quest’intervista, che è stata per me un’esperienza curiosa e singolare, mi sono occupato di capire le motivazioni che hanno portato la maestra a scegliere la carriera dell’insegnante, come è entrata in ruolo e quali materie ha insegnato durante il corso della sua carriera. L’intervista continua poi sui metodi di valutazione messi in atto dalla maestra (in particolare l’autovalutazione dell’alunno), le teorie pedagogiche e didattiche che ha adottato per l’insegnamento e l’apprendimento (in particolare la metodologia ludico-rappresentativa e teatrale, l’esercizio di rilassamento e ascolto “Occhio Immaginario”, le life skills education, il laboratorio di scrittura poetica e il laboratorio degli artisti) e il rapporto con i bambini, i genitori, le altre insegnanti e il dirigente scolastico. Successivamente l’intervista è proseguita spiegando il cambiamento istituzionale della scuola da “circolo didattico” ad “istituto comprensivo”, il cambiamento del tempo-scuola (dalle quattro ore al tempo pieno), il passaggio a moduli degli anni Novanta, i corsi di aggiornamento per gli insegnanti e l’avvento dei computer e della tecnologia nella scuola.
Ringrazio la maestra Angela Furferi per l’interesse, la collaborazione e la disponibilità che ha dimostrato nei miei confronti.
[Attività svolta all’interno del corso di Storia dell’Educazione, prof. Gianfranco Bandini, Università degli Studi di Firenze]
- Intervista di: Matteo Mauceri
- Regione: Calabria
- Anno inizio insegnamento: 1982
- Trascrizione:
Allora, te sei la maestra Angela Fuferi
e sei nata il 18 gennaio del 1951 a Brancaleone e hai consegnato il diploma magistrale nel
1970 e se sei entrata di ruolo nel 1982 Quali sono state le motivazioni che ti
hanno portato a scegliere il ruolo dell’insegnante? Allora, io ho sempre amato, mi
ha sempre affascinato proprio il luogo della scuola in se stessa e poi il ruolo e l’importanza che ha avuto la mia maestra perché ero una bambina che voleva imparare, voleva sapere e lei ha soddisfatto questa mia volontà di conoscere e poi perché amo moltissimo i bambini,
la curiosità dei bambini il voler conoscere anche loro, il voler sperimentare il voler andare oltre alle cose. Questa è stata la motivazione. E come sei entrata in ruolo, te?
Sono entrata attraverso un concorso. Allora si faceva un concorso per titoli d’esami
con due esami una prova scritta, con due prove,
una prova scritta e una orale e mi sono preparata, naturalmente.
Sono andata a lezione da un insegnante una professoressa d’italiano
competente che organizzava questi corsi per insegnanti e lei mi ha dato le nozioni necessarie
per poter affrontare il concorso. Hai preso ripetizioni da lei.
Da lei, sì. E poi, nel corso della tua carriera, quali materie hai insegnato?
Allora io, siccome ho tanti anni di insegnamento, ho iniziato
in una scuola a tempo normale e quindi insegnavo come insegnante unica e avevo tutte le materie curricolari. Poi, quando sono passata al tempo pieno, mi sono occupata dell’ambito disciplinare linguistico, antropologico e religione cattolica. E come hai valutato i tuoi alunni? Allora, la valutazione era
sempre tenendo conto delle capacità di apprendimento e i tempi di apprendimento dei miei alunni era una valutazione in itinere e valutavo via via gli obiettivi raggiunti e poi grazie a questo strumento di valutazione ho potuto correggere e autoregolare il processo formativo quindi avevo una ricaduta immediata dell’apprendimento. Ho modificato quindi il percorso per facilitare i bambini nell’esperienza didattica nel lavoro didattico. Ha funzionato?
Ha funzionato benissimo. Bene.
Ha funzionato benissimo. Poi ti racconterò cos’altro ho fatto per far funzionare arrivare a questo, i bambini.
Cioè, coinvolgevo anche i bambini nell’autovalutazione. Facevo valutare a loro
i loro elaborati le loro interrogazioni. In questa maniera autovalutandsi raggiungevano una maggiore consapevolezza
del lavoro che avevano fatto del lavoro didattico fatto. Giusto. Quindi è questo quindi il rapporto tra insegnanti allevi
che si è instaurato anche sul tema della valutazione,
ovvero autovalutare. Ci sono state delle teorie pedagogiche e didattiche,
in particolare che hai adottato per l’insegnamento e l’apprendimento? Si, certo, mi sono rifatta alla pedagogia didattica dell’attivismo che in particolare si rifaceva poi
agli insegnamenti del Piaget, del Bruner e poi via via mettendo al centro, la centralità, il bambino
e la sua formazione. Negli anni poi io ho adottato una mia
metodologia. Mi sono rifatta prima a linguisti come Jakobson come Umberto Eco, semiologo e Guilford, linguista per conoscere la semiotica del teatro e i vari linguaggi e poi ad una pedagogista
molto importante per me Giuseppina Amodei, che è meno conosciuta e che ha scritto libri di didattica come “Il corpo e la storia” e “Strategie modulari per una educazione ai linguaggi”. E quindi questi sono stati i miei punti di riferimento
scientifici, diciamo. Poi ho messo in atto una metodologia mia e ti spiego come è nata questa mia metodologia.
Quando sono arrivata qui a Firenze ho chiesto trasferimento negli anni ottanta mi sono ritrovata qui alla scuola Duca d’Aosta,
una scuola che per la sua composizione territoriale accoglieva e accoglie un vasto
numero di bambini di varie etnie in modo particolare cinesi questa multiculturalità, se da una parte è
fonte di ricchezza e di scambio, dall’altra è molto problematica da gestire,
quindi ho cercato vie cognitive diverse per poter garantire ai bambini di poter rispettare a loro personalità, la loro
cultura, la loro individualità e garantire un inserimento, una vita serena a scuola, a scuola. Quindi ho messo a punto questa metodologia che è una metodologia ludico-rappresentativa
che nel suo percorso si avvale dell’educazione teatrale come strumento fondamentale per facilitare i bambini proprio nell’esperienza didattica. Quindi ho sempre pensato che l’educazione teatrale
fosse il mezzo più idoneo per poter far emergere le potenzialità dei miei bambini e per poter far superare i loro vantaggi e svantaggi. Attraverso quindi esercizi propedeutici ben mirati attraverso le tecniche teatrali i bambini sono riusciti a fare catarsi e nello stesso tempo si sono trovati ad avere
il duplice ruolo di attori e spettatori perché, oltre al teatro,
erano le lezioni che facevo io e all’interno quindi i loro compagni diventavano il loro palcoscenico interiore che
li sapeva capire, li sapeva ascoltare e li sapeva aiutare. I bambini facendo questa attività sono riusciti ad arrivare ad avere più autostima autoconsapevolezza di sé e degli altri,
cosa molto importante la collaborazione fra di loro perchè la riuscita di uno spettacolo,
di una messa in scena è il lavoro del gruppo classe di tutti e tutti hanno avuto una parte importante in questa riuscita. Inoltre ho sempre considerato il teatro come il teatro per il suo linguaggio totale, no? come il mezzo più idoneo per poter lavorare con i bambini perchè
tocca tutte le sfere, se non quasi quasi tutte se non tutte le sfere della formazione della personalità dei bambini. Cosa importante in questa metodologia è che c’è un filo conduttore che va fino in fondo che è un esercizio di rilassamento e ascolto che noi chiamavamo
“Occhio immaginario”, una “Occhio immaginario” intendevamo
è un’espressione linguistica cercata con i bambini per poter vedere oltre il visibile e questo era un esercizio che noi facevamo ogni volta prima di ogni attività didattica e in modo
particolare prima dell’attività teatrale.
I bambini ne risultavano contenti di queste attività? Molto, perché queste attività li ha aiutati a superare le loro paure i loro disagi e poi li ha aiutati anche a superare alcune problematiche che si vengono a creare all’interno della classe. Ti racconto un aneddoto: una mattina, era di martedì, io il martedì
lo dedicavo alla scrittura del testo e quella mattina arrivò una bambina piangendo,
disperata non sapremo cos’avesse. Alla mia domanda
mi cominciò a dire: «Ho paura del testo» al che dico io: «Alt, bambini! Qui dobbiamo aiutare
la vostra compagna, come facciamo?» e i bambini dissero: «Maestra, perché non facciamo
l’Occhio immaginario e immaginiamo e raccontiamo la storia del testo mostro che poi
dopo tante avventure si trasforma in un tema buono e dolce?». Così abbiamo fatto perché l’esercizio
consisteva in questo: era un “circle time” insieme con gli occhi chiusi. Prima io raccontavo
una brevissima storia, i bambini dovevano visualizzare i luoghi, gli oggetti,
i personaggi, quello che potevano visualizzare riuscivano a visualizzare poi un battito di mani indicava che la storia era finita,
i bambini aprivano gli occhi e a turno, contavano ciò che erano riusciti a visualizzare dopodiché rappresentavano con il loro corpo l’oggetto il luogo il personaggio un sentimento che avevano visualizzato.
Quindi mettevano in scena i loro dolori, le loro gioie e quindi superavano e quindi ritorna che facevano catarsi
nuovamente, capito? Quindi con animo sereno questa bambina dopo il racconto,
dopo la messinscena dei due personaggi del mostro
e del tema poi buono la bambina, serena, è tornata al suo posto
e ho dato la traccia questa volta chiamandolo tema e la bimba si è messa a scrivere. I genitori che ne pensavano di questo teatro? I genitori erano contentissimi,
anzi, partecipavano e io per far capire che lavoro stavo facendo li ho fatti partecipare un pomeriggio e abbiamo fatto tutti insieme
insieme ai genitori proprio questo esercizio di rilassamento e ascolto. Inoltre io poi nel 2007-2008 ho fatto
formazione per gli insegnanti organizzato dal “Laboratorio della pace” proprio di rilassamento e ascolto
sull’occhio immaginario. Quindi partendo dai colori, dai sentimenti e dagli oggetti
per poi passare alla poesia Lavoravi da sola o c’erano altre insegnati?
Allora, lavoravo da sola perché era una metodologia che avevo messo a punto io
e facevo questo laboratorio all’interno delle mie ore generalmente nell’ora di arte e immagine oppure nelle ore di italiano la mattina, ecco quei 10 minuti li dedicavo a questo, al teatro, e poi con l’aiuto della mia insegnante contitolare di classe
quando dovevamo organizzare questi spettacoli e altro. Tanto più che poi questa attività di teatro
ha privilegiato moltissimo la lingua italiana io avevo bambini cinesi che mi arrivavano
alla fine e dicevano: «Io ho visualizzato» e capivano benissimo
il verbo visualizzare cosa significava con l’esperienza e rappresentavano anche questi bambini, che magari ancora
non parlavano, tramite la mimica riuscivano a esprimere ciò che avevano all’interno del loro animo Il dirigente scolastico che ne pensava di queste attività? Il dirigente scolastico era si compiaceva, era contento. Tanto più che quando io poi negli ultimi anni qui ho incontrato il dirigente scolastico
veramente speciale che era Carlo Testi il quale era una persona preparatissima,
una preparazione eccellente che ci faceva corsi di aggiornamento e che io ho frequentato e ho arricchito ancora di più
la mia conoscenza, questa è veramente stata una persona in gamba. Perché tu devi sapere che alla fine degli anni novanta 2000 la nostra scuola è passata ad istituto comprensivo.
Fino ad allora c’erano i circoli didattici quindi noi siamo passati ad istituto
comprensivo, le scuole quindi avevamo la scuola dell’infanzia,
scuola primaria e scuola secondaria di primo grado con un unico dirigente,
il dirigente scolastico, mentre prima avevamo una direttrice scolastica per quanto riguardava
la scuola primaria e la scuola dell’infanzia e un preside per la scuola media allora si chiamava scuola media. Questo quindi ecco è il contesto in cui come dire, istituzionalmente è cambiata la
scuola. Ad esempio, quando io ho cominciato a iniziare a fare l’insegnate ho cominciato con il doposcuola comunale a Figline Valdarno però già c’era la legge
nel ’72 o ’71, mi sembra ’72 la legge sul tempo pieno,
quindi incominciava a cambiare il tempo-scuola quindi dalle 4 ore si passava fino alle 8 ore a scuola con il tempo pieno. Dobbiamo poi
arrivare negli anni ottanta per avere proprio il boom del tempo pieno e però il comune per esempio compensava
dava questo servizio ai genitori che lavoravano di poter lasciare i bambini a scuola fino alle 16:30 per esempio quando poi negli anni
io ho fatto 5 anni di doposcuola poi ho fatto un anno di supplenze e poi ha avuto 3 anni di incarico annuale
e poi sono passata di ruolo. Nei 3 anni di incarico annuale
io l’ultimo anno ho fatto attività integrative. Questa attività integrative erano
delle attività formative all’insegnamento all’insegnamento che formavano i bambini però c’era la scuola di mattina era tipo un doposcuola statale, diciamo
e io andavo di pomeriggio, facendo anche la mensa. Per come eravamo organizzati noi era un tempo pieno veramente che funziona molto bene. Ora c’è un pochino di più di caos perché abbiamo avuto
poi negli anni novanta il passaggio a moduli e quindi con i rientri dei bambini. Questo passaggio a moduli? I moduli, sì, c’erano tre insegnanti in due classi, quindi due insegnanti un’insegnante in una classe, un’altra insegnante in un’altra classe e una che andava da una parte all’altra,
da una classe all’altra. Funzionava, questo?
Mah, non ti so dire, perché io, cioè contemporaneamente mi continuava
il tempo pieno e avevo questa nicchia del tempo pieno, andavo d’accordo con la mia collega
e quindi tutte le sperimentazioni, ogni cosa noi le facevamo. Per esempio quando le abbiamo sempre fatte queste cose
poi ad un certo punto nel 2000-2002 si comincia a parlare di life skills education. Che consiste?
Queste sono, cioè le life skills education sono per le abilità della vita sono l’autostima, lavorare sull’autostima lavorare sull’empatia sul problem solving… Capito?
Abituare i bambini a fare queste cose. Cose che noi facevamo, che io ho sempre fatto
magari non avevi il nome specifico. Quindi questa ricerca azione, la ricerca azione
quando i bambini ogni volta che per esempio io in arte e immagine
facevamo un lavoro, dovevamo fare esempio per esempio, ora che siamo a Natale
il lavorino per il Natale io facevo fare ai bambini indicare sul quadernone l’oggetto i materiali, il tempo
quindi questa era la ricerca azione dove il bambino faceva il suo progetto e quindi facevo queste cose sempre
ogni volta che il bambino doveva cimentarsi in qualche costruzione
in qualcosa. Ah, volevo dirti poi, per esempio, che io oltre al laboratorio di scrittura poetica avevo anche il laboratorio degli artisti. Il laboratorio degli artisti, un anno noi abbiamo fatto proprio questa: “Sentimenti e pittura. La poesia e l’arte grafico-pittorica come accesso al mondo”. E quindi i bambini con la pittura, vedi, facevano
un lavoro di pittura e contemporaneamente di poesia cioè dedicavano la poesia
a ciò che rappresentano. Quindi passavano dalla poesia che era un sentimento sonoro
cioè a parole sonore alla pittura che è una poesia muta, diciamo. Sto vedendo che ci sono poesie e disegni collegati alla poesia
tutt’e due realizzati dai bambini. Sì, e questo è un lavoro, vedi, per la
collaborazione che ho avuto con i genitori è stato un genitore che mi ha fatto
il PowerPoint perché allora siamo qua nel 2000 non so quando, non mi ricordo bene, nel 2007
no, 2004, 2000 2003-2004 e ancora cioè i computer c’erano e non c’erano
è stato questo genitore che mi ha fatto il PowerPoint e poi la stampa e dalla stampa poi auto-tassandoci. Sto vedendo questa immagine alla fine del libro che sono tutti i bambini che hanno realizzato questo progetto. Insomma, ho notato quello che dicevi prima che c’è una classe molto multietnica. Hanno avuto difficoltà i bambini stranieri?
Allora diciamo che ora, in questo periodo
quindi nel 2004 siamo già ai bambini di seconda generazione, capito?
Sì, avevamo già bambini che vivevano già in Italia
erano già nati in Italia anche se noi sappiamo che specialmente le famiglie cinesi
i piccolini appena nati li mandavano in Cina e poi li facevano ritornare nell’età scolare e quindi era una difficoltà enorme. Loro no perchè i miei bambini erano abituati a dare aiuto a questi bambini di diverse etnie, infatti durante la ricreazione quando arrivavano e non sapevano
parlare per niente italiano loro io mettevo tutte le parole dei vari oggetti
e loro, cosa facevano? Prendevano per mano e gli insegnavano le parole e da lì poi piano piano avveniva il miracolo, diciamo.
Sì, sì, è fantastico questo clima di collaborazione che si era instaurato.
Sì, sì, loro sempre, guarda, sempre. Bello, bello. Perché li aiutavano moltissimo.
E poi, per esempio, la partecipazione che che riuscivo ad avere anche dai genitori, questi stranieri: quando gli ho fatto il progetto delle
filastrocche per conoscere la Toscana che era un progetto fatto con il Comenius
allora avevamo gli scambi. Il Comenius erano, avevamo dei partner di altri paesi europei come l’Inghilterra abbiamo fatto anche in Polonia, mi sembra
Malta avevamo un tema in comune
e noi quell’anno avevamo le filastrocche toscane
le filastrocche gioco toscane per far conoscere proprio la Toscana e in quel periodo dovevamo inserire, cioè i bambini di queste
di varie etnie non è che [venivano] dalla Toscana e abbiamo inserito una filastrocca scritta da una mamma cinese di un gioco che facevano loro e poi è venuta a farcelo vedere quindi sono riuscita a questo
e questa è una cosa, guarda veramente bella perché
loro sono molto chiusi vivono nel loro mondo, veramente. In questo modo però sono riusciti
ad aprirsi? Sono riusciti ad aprirsi. Questa e la scuola la scuola creativa non la scuola che tu ti metti
e fai la lezioncina e basta quindi devi coinvolgerli tutti nelle loro possibilità naturalmente e
tutti si devono sentire partecipi del lavoro perché sennò, ecco bisogna stare attenti proprio a questo
e spero che queste attività proprio servono a questo percorso. Ti posso dire che già fin dagli anni
fine anni settanta anni ottanta ho lavorato sulla fiaba ho lavorato moltissimo e quindi i bambini hanno fatto le loro ricerche, si sono informati
hanno lavorato sui Grimm sui fratelli su Andersen e su Rodari abbiamo fatto quindi le fiabe anche la rovescio di Rodari e loro si sono cimentati e
hanno scritto questo e se tu vedi guarda “Fiabe brillanti dolci come canti
favole divertenti che fanno contenti” perché poi abbiamo fatto anche le favole e se vedi, guarda, qualcuno li ha battuti con la macchina da scrivere e i primi
cioè i primi computer qualcuno anche con il computer. Questo lavoro di quando è? È del mille, leggi un po’, 1997-98.
E c’avevate già un computer? Noi, no, no, no, questo che venne battuto
al computer ce l’avevano a casa, qualcuno Ah, ok, quindi chi aveva la possibilità
la fortuna di avere il computer a casa
lo batteva lì e poi portava a voi portava la matrice, diciamo, queste infatti
sono le matrici e poi facevamo le fotocopie o fotocopie, sì, fotocopie e chi non aveva la possibilità lo riscriveva anche per
gli altri, come funzionava? Avevano le macchine da scrivere qualcuno, gli altri sennò venivano invitati
dal bambino che aveva il computer e lo scrivevano lì. Poi con l’avvento dei computer nella classe
i bambini se ho certe foto dove tu vedi che loro stessi vanno
battono le poesie i loro accorti durante le lezioni, no?
Addirittura avevo un bambino molto disgrafico, io e grazie al computer perché gli dava la correzione immediata
è riuscito piano piano un pochino a raggiungere una certa forma corretta. Gli è servito tantissimo, sì. E lui scriveva sono al computer a quel punto. Oppure per i bambini stranieri, per i bambini stranieri
il computer è stato un mezzo favoloso perché loro tramite le lettere che ci sono nei tasti e la parola scritta imparavano più alla svelta. Oggi la tecnologia come pensi che sia, se si è valorizzata nella scuola?
Allora sento le mie colleghe che ancora non è che
sì sì, hanno messo la lavagna luminosa
la lavagna interattiva, diciamo la lavagna interattiva
ma non in tutte le classi e quella è uno strumento molto valido per i bambini e però io non lo so se sono un po’ conservatrice però c’è bisogno anche che i bambini ecco, facciano manualmente diciamo senza tante tecnologie perchè non c’è l’attenzione l’attenzione i bambini un attimo e basta non fanno altro che passare da una cosa ad un’altra senza fermarsi un attimino a pensare a quello che stanno facendo. Quindi secondo te è importante molto la riflessione in quello che si fa. Parecchio
certo, la tecnologia ci è servita tantissimo e poi mi ricordo che i bambini
sono quelli che imparano alla svelta mi ricordo che avevo un bambino che lo chiamavano
il bambino tecnologico perché mi faceva: «Maestra ma tu ancora così fai? Ma fai così magari! Tocca questo tanto che fai alla svelta»
e quindi mi insegnava lui! Insegnava lui a me, sì! Per concludere c’è un consiglio che vuoi dare alle maestre? Ah, di aggiornarsi sempre di aggiornarsi di andare sempre a chiedersi cosa sto facendo per questo bambino
cosa posso fare di più come lo posso fare perché questa è la cosa fondamentale io fino alla fine della dell’anno della mia pensione ho fatto anche corsi di aggiornamento perché erano cioè ti danno sempre un qualcosa in più magari ti sembra di sapere
però poi ecco scopri sempre cose nuove. Fino a che anno hai insegnato, te? Fino al 2011. E fino a quell’anno te hai fatto corsi appunto
di aggiornamento sul problem solving Ok, bene
io ti ringrazio per quest’intervista molto e a posto così.
È stato un piacere.